sabato 30 ottobre 2010

Claudio Magris da Conversazione con ALBERTO ASOR ROSA

....Ogni argomento impone la forma con cui affrontarlo; ci sono realtà che si possono e debbono analizzare e altre che si possono e devono raccontare; l’una forma non è di per sé più o meno creativa dell’altra. Forse la necessità di raccontare l’ho incontrata la prima volta quando, ripercorrendo la storia dei cosacchi alleati dei tedeschi che per qualche mese, alla fine della Seconda guerra mondiale, si erano installati in Friuli, ho scoperto che molti si ostinavano a credere a una falsa versione della morte di Krasnov, il capo cosacco, anche quando la verità storica era stata inequivocabilmente messa in chiaro, e che anch’io, inconsciamente, avrei voluto che Krasnov fosse morto come diceva la falsa versione.

Quale verità umana, esistenziale, poetica - mi sono chiesto - c’è in quel desiderio di credere a una versione chiaramente falsa? Su quei fatti non c’è nulla da ricercare, perché sono assodati; ma per capire come gli uomini li hanno vissuti si può solo raccontare, immaginare, fare illazioni. E così è nato il mio primo romanzo breve. La tua vocazione a narrare è nata tardivamente o era sempre latente, magari frenata dalla timidezza? Ha a che fare con l’invecchiare, con un senso più acuto della complessità della vita che non si lascia spiegare, ma che si può comprendere solo raccontandola? Ha a che fare col senso che l’uomo è sì storia, ma inserito in una più grande natura non solo umana?........